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ANALISI/ il mercato è già cambiato

di Michele Polo

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23 ottobre 2007

L a decisione di Microsoft di accettare le conclusioni della Corte di giustizia europea, allineandosi così alle prescrizioni della Commissione, è apparsa come destinata a modificare radicalmente lo scenario del mercato del software. In particolare nella delicata materia della compatibilità tra i prodotti di un'azienda e quelli dei concorrenti. In realtà, la stessa dinamica del settore rende questa svolta più un giudizio sul passato che un reale condizionamento del futuro.
La materia in discussione, definita dai tecnici «interoperabilità », rappresenta il punto più importante e delicato dell'intera vicenda,e ha destato in molti commentatori critiche alla posizione europea. Quando un produttore di software come Microsoft costruisce i propri prodotti, deve realizzare infatti una completa compatibilità.

Una compatibilità tra il motore dei programmi, il sistema operativo, e le molte funzioni, rappresentate dai programmi applicativi, che attraverso il computer possiamo svolgere. Questa compatibilità dovrebbe essere garantita anche ai prodotti concorrenti, per consentire ai loro programmi di girare sulla gran parte dei computer così come anche ai sistemi operativi "non Microsoft" dei server di rete, inclusi quelli che dal mondo dell'open source,stanno già da tempo erodendo le posizioni di vantaggio dell'operatore dominante in molte province del variegato mondo del software.
Questa esigenza di garantire i concorrenti entra tuttavia in conflitto con la naturale volontà di Microsoft di spostare su altri fronti la propria forza creando nuove funzioni, nuovi programmi e rendendo più potente e versatile il proprio motore. La casa di Redmont deve cercare di ripagare gli ingenti investimenti in ricerca con i vantaggi acquisiti attraverso un miglioramento dei propri prodotti. E questo si può ottenere limitando l'imitazione dei rivali, e rendendo i propri software meno compatibili con i prodotti concorrenti.

Il cuore della vicenda europea sta in questo problema. La Commissione nella decisione del 2003 prese una posizione fortemente orientata a garantire la piena compatibilità tra i nuovi prodotti Microsoft e gli sviluppi promossi dalle altre aziende. Limitando, quindi,le capacità dell'impresa dominante di beneficiare delle proprie innovazioni. I critici della decisione europea hanno rimarcato come in questo modo si spostasse radicalmente e senza adeguate cautele la protezione dei diritti di proprietà intellettuale in un settore cruciale come il software. Dipingendo la società di Bill Gates, forse con toni eccessivi ma con un argomento fondato, come un pugile costretto a combattere con un braccio legato dietro la schiena.
Microsoft, un'impresa che da oltre un decennio è impegnata con grande combattività in una serie infinita di cause antitrust presso le autorità pubbliche e i tribunali, accetta ora una decisione che non è frutto di un ragionevole compromesso – come fu quando venne composto il caso americano promosso dal Dipartimento di Giustizia e da 19 Stati americani per gli internet browser –, ma che invece l'ha vista soccombere nelle sue ragioni rispetto a tesi a lei fortemente contrarie.

Se la decisione di Microsoft evoca l'immagine dell'ateo che entra in chiesa, l'esperienza sulle imprevedibili evoluzioni del mondo del software consiglia tuttavia cautela. Le intense dinamiche innovative in questo settore hanno infatti insegnato come sia molto difficile prevederne l'evoluzione, di fronte alla nascita di nuovi prodotti e nuovi attori che si affacciano continuamente sulla scena. Questo era il richiamo alla prudenza rispetto ad un approccio eccessivamente interventista della Commissione Europea.
E questa è forse anche la corretta chiave di lettura della decisione di Microsoft. Che ha deciso di archiviare una pratica oramai obsoleta in un mercato dove oggi le sfide competitive si giocano su altri contesti e con altri attori.

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